STORIA
La
parrocchia San Lorenzo Martire di
Castagneto Carducci appare nelle storia attraverso l’atto di fondazione
dell’Abbazia di San Pietro in Palazzuolo di Monteverdi dove, fra le numerose
donazioni di beni vicini e lontani, effettuate da Walfredo Ratcauso, viene
nominata anche Castagneto :
“Item
et curte juris mei in Castagneto cum edificiis suas peculias donicatas, et
pastores qui eum dipascunt, vineas, olivetas, pratas territorias, Silvas, seo et
Casas massaricias cum familias suas, quae nobis pertinere quanta exinde libere
non dimiserimus cum omne adiacentiam ad ipse Case del Curte pertinenti in
integro habeat ipse Monasterio.”
Si
desume che, essendosi trattata di una comunità consolidata da tempo, potesse
essere dotata di una chiesa, con molte probabilità annessa al Castello di
Castagneto Carducci, ma non certamente provabile perché non sappiamo se sono
stati effettuati lavori o restauri di cui non sono giunte notizie ai giorni
nostri.
E non si conosce neppure l’estensione di questo territorio non essendo nota
l’esistenza di eventuali monasteri o castelli.
Non abbiamo più, per alcuni secoli, altre notizie su Castagneto e sulla sua
chiesa.
Dopo quell’epoca di silenzio, solo il 5 Novembre 1401 il Conte Duccio Dea
(Andrea) che rivestiva le onorificenze di cittadino e senatore pisano, nonché
Conte di Castagneto, scrisse un testamento dettagliato nel palazzo castagnetano
dove diceva che voleva essere sepolto o nella Chiesa di San Lorenzo Martire o in
quella di San Francesco in Pisa.
Dopo la costituzione della parrocchia, la pieve di Castagneto cominciò a tener
la conta dei propri crescenti beni, anche se questi erano ancora intitolati a
San Giovanni.
Un secolo dopo, nel 1507, nella Chiesa di cui qui parliamo, fu celebrato un
accordo tra il Conte Fazio ed il popolo castagnetano (attraverso venti comunisti
di Castagneto) riguardante il taglio degli alberi, cioè il diritto legnatico.
Un altro accenno storico alla Chiesa di San Lorenzo fu, nel 1551, in un libro
del Conte Francesco dove ricordava:
“SANCTO
LORENZO ADVOCATO E PROTETTORE DELLA CASA DEI MAGNIFICI CONTI DELLA GHERARDESCA
INSIEME AL BEATO GUIDO DI DONORATICO”.
Nell’anno
1500 accaddero molti fatti importanti per il nostro paese, ad esempio nel 1563
ci fu un terribile attacco piratesco di cui scrisse, don Mario Aurici, una
particolare descrizione nell’ultima pagina del primo registro battesimale.
Nel
1570, invece, allargando sempre di più il territorio castagnetano, si costruì
un proprio mulino che venne messo in funzione da due mugnai, Mario di Ponente e
Simone di Cesare (condannati per frode di gabella) e, solo otto anni dopo venne
concessa una terra a Ludovico Serristori che, successivamente, vi costruì un
palazzo tuttora esistente a Castagneto.
Sul finire di questo secolo, soprattutto bonario
per Castagneto, Baldassarre Ceuli, Conte e possessore di Segalari effettuò
un benefizio con annessa cura portante il titolo di San Martino, che
ancora oggi viene usato per denominare la chiesa di Segalari, che furono
congiunti alla pieve di Castagneto.
Intanto i pievani della parrocchia di San Lorenzo Martire si susseguivano :
nel 1595 comparve don Cesare Chiarelli che venne sostituito, anche se per breve
tempo, da don Camillo Reali di Stazzema.
Il successivo pievano fu don Giuliano Bonanni che morì nel 1645.
Nei cinque anni successivi vi fu don Giovanni Battista Fantini seguito da don
Marc’Antonio Cailli di Volterra nel 1652 e da don Pier Marco Franceschini nel
1654.
Sempre parlando di pievani, nel 1668 il Conte Guido presentò al vescovo della
diocesi di Massa Marittima don Attilio Palla per farlo diventare pievano di
Castagneto.
Intanto i pievani si susseguivano ancora:don Bartolomeo Mattei nel 1676 e solo tre anni dopo don Niccolao Fabbretti
di Portoferraio.
Nel 1680 comparve don Vittorio Gasparucci di Sassetta, che vi rimase fino oltre
il 1700.
Con lui Castagneto e soprattutto i castagnetani ebbero un’istituzione
importante :la prima scuola.
Il 22 Settembre 1680 il Conte Guido chiese al vescovo, le rendite della
parrocchia di San Lorenzo Martire al fine di costruire una scuola e il vescovo
gli rispose che, poiché tra lasciti e benefici la chiesa rendeva solo 125 scudi
annui, questi non potevano quindi essere impiegati per altro scopo.
Nel 1695 il Conte Guido morì e al suo posto regnò il figlio Ugo che, sotto
pressione del fratello Tommaso Bonaventura (questo anche arcivescovo di
Firenze), decise di appaiare la professione del cappellano con quella del
maestro, Alessandro Della Rocca di
Campiglia fu il primo cappellano-maestro e vi rimase sino al 1708, seguito da un
anziano pievano di Rio, don Giuseppe Coli, che vi rimase sino al 1715.
Seguirono
altri cappellani-maestri, e qui ne elenchiamo i principali :
-
don
Pier Maria Tardò dal 24 Agosto 1715 al 6 Aprile 1717 ;
-
don
Giovanni Maria Ferretti ( in seguito pievano di Bolgheri ) dal 1717 al 1724 ;
-
don
Michele Fabbrini ( castagnetano ) dal1726 al 1737 ;
-
don
Francesco Piccini ( forse Puccini, il figlio del medico Vincenzio) dal1738 al
1745 ;
-
poi
uno o più ignoti fino al 1751;
-
don
Bartolomeo Cecchini, castagnetano, figlio del fattore dei Gherardesca, dal 1751
al1754 ;
-
don
Domenico Tortoli, dal1755 al 1757 ;
-
don
Francesco Biondi, originario di Gavinana, dal 1758 a tutto Marzo del1767 (poi a
Bolgheri) ;
-
don
Giovanni M. Bensi, teologo, per i sei mesi successivi
(retribuito con la “ricrescita del sale”, cioè la tassa sul sale non
corrisposta al Granducato per un’antica esenzione ceduta dai Gherardesca e
dalla gente di contea ) che poi sarebbe destinata alle doti matrimoniali ;
-
don
Basilio Papi dal 1770 al 1774 ;
-
don
Guido Casabianca, altro castagnetano, per i mesi successivi ;
-
don
Pietro Fabbrini, castagnetano egli pure come lo zio don Michele, dal 25 Dicembre
1775 al 1780 ;
-
don
Antonio Casabianca dal 3 Giugno 1780 all’Agosto 1783 ( il deus ex-machina dei
“livelli antichi” ) ;
-
infine
don Benedetto Grifi dal 1783 al 1790 ;
Dopo
don Grifi ci fu un pievano eletto dal “magistrato”, Don Domenico Pierotti
che rimase a Castagneto circa quarant’anni, dal 1790 al 1828.
Ora lasciamo il campo cappellano-maestro e ritorniamo in quello dei pievani.
Incominciamo con Jacopo Lupini, il figlio del fattore dei Della Gherardesca, che
fu pievano dal 1710 al 1753, ma dopo di questo vi fu un pievano originario di
Barberino di Mugello.
Questo era un parroco dalla vivace attività agricola, don Sebastiano Becciani.
Fu proprio lui a far costruire la canonica di Castagneto Carducci e a coltivare
un podere che tuttora esiste e viene chiamato come il suo soprannome, cioè
“Barberino”.
Questo podere poi, alla fine del Settecento, venne venduto a don Vittorio
Bianchi al quale erede appartiene ancora oggi.
Dopo don Sebastiano Becciani, ci fu don Francesco Piccini seguito da don Abramo
Campai, fattore dei Gherardesca a Segalari, seguito dal 1759 al 1769 da don
Giulio Cesare Beldrotti, un altro fratello di fattore, originario di Monteverdi.
Non bastava il giuspatronato per avere come amici i parroci, ma era meglio che
gli stessi parroci fossero fratelli o figli di agenti Della Gherardesca.
Il 18 Ottobre 1769 da Bolgheri a Castagneto viene trasferito don Valentino
Verdiani, originario di San Donato del castello di Serrazzano.
Questi, poi, venne sostituito da suo nipote, don Vincenzo Verdiani, che fu uno
dei più duraturi pievani di Castagneto, il cui vicariato durò fino alla sua
morte che avvenne nel 1832.
Oltre ad essere uno dei più duraturi pievani, con lui avvennero molti fatti
importanti a Castagneto: la chiesa fu restaurata con gli avanzi ricavati dalla
beneficenza di due compagnie religiose castagnetane, l’altare della SS
Annunziata e l’Altare delle Anime del Purgatorio.
Un’altra restaurazione fu effettuata nel 1802.
Inoltre
con don Vincenzo Verdiani molti cappellani si trovarono assai bene :don
Domenico Pierotti, don Giuseppe Casabianca (in seguito cappellano militare al
Forte), don Camillo Mori (poi canonico a Massa), don Clemente Casabianca (detto
il “pretino” che sapeva leggere, però a malapena scrivere), don Luigi
Pasquinucci (reduce dalla breve esperienza a fianco di don Bussotti a Bolgheri).
Don Verdiani morì il 31 marzo 1832 e si pose subito il problema della
successione.
Fecero domanda al Conte altolocati personaggi: don Giuseppe Casabianca, don
Luigi Pasquinucci, don Antonio Manghetti (tutti e tre di Castagneto Carducci),
don Bussotti, don Giuseppe Piochi di Sassetta, don Lorenzo Gestri di Campiglia,
don Fiorello Mariani di Bientina, don Giuseppe Giaconi di Pisa, don Giovanni
Daddi di Firenze.
Il Conte, il 7 Ottobre del 1832, scelse don Lorenzo Gestri, già parroco dopo
don Quirino a Monteverdi.
Molti
cercarono di dissuadere il conte da questa sua scelta, tra i quali il notaio
Francesco Dini di Campiglia ed il nipote, il cardinale Cosimo Corsi, ma il conte
non si lasciò persuadere.
Solo il 19 Gennaio 1833 don Gestri si insediò nella parrocchia di San Lorenzo
Martire a Castagneto Carducci.
Ma poi, a causa di alcune fucilate sparategli nella canonica, don Lorenzo Gestri
si dimise, e al suo posto diventò pievano don Antonio Manghetti, ma il 17
Dicembre venne sostituito, anch’egli per lo stesso motivo, da don Giuseppe
Tognetti.
Con questi comparvero come cappellani curati vari sacerdoti castagnetani :
don Giovanni Battista Spagnoli, don Giorgio Moretti, don Antonio Manghetti e don
Antonio Bucci che reclamavano il nome Castagneto e non quello impostovi dai
Della Gherardesca.
Il 10 Agosto 1850 don Gestri ritornò, anche se molte cose erano cambiate.
Don Gestri fu sostituito da don Angiolo Ristori come economo spirituale sino al
Gennaio 1868 e, poi, da don Giuseppe Maria Cavacini, nell’Aprile successivo.
Lo stesso don Cavacini rimase a Castagneto dal 1868 al Marzo 1874, quando vi
rinunciò.
Ma vi fu subito un successore, che giungeva da Vada ed arrivò alla fine del
Marzo 1874 don Giuseppe Pannocchia, chiamato dai castagnetani “nappocchia”
dalla nappa e cioè il naso rosso dei bevitori antichi.
Con don Pannocchia la parrocchia si vivacizzò grazie ai contrasti che questo
ebbe sia con la fattoria che con i successivi conti Ugolino (1823-1882) e il
figlio Walfredo Tedice (1865-1932).
Don
Pannocchia morì il 17 Marzo 1898 fra le braccia di un pievano arrivato da poco,
don Celestino Agostini.
Questo ebbe molti problemi con il popolo castagnetano perché veniva definito il
“leccapiedi” del conte ma, passate queste dicerie, venne accolto con molta
familiarità e gli venne dato il soprannome di don Turchinetto al posto di don
Celestino.
Egli ebbe molti conflitti, soprattutto con don Adelfo Parcanti e con don Emilio.
Don Agostini, insieme al vescovo Mons.Borachia, pareva ficcassero il naso negli affari non loro riguardanti, così
Walfredo gli volle dedicare una lapide, in modo che il vescovo leggesse e
meditasse su quello che c’è scritto:
PERCHÈ
IL POPOLO CASTAGNETANO
VENERI
LA MEMORIA
DI
MONSIGNOR FRA’ GIUSEPPE MORTEO
CAPPUCCINO
MORTO
NEL SUO LXI ANNO DI ETÁ
IL
XXI NOVEMBRE MDCCCXCI
PER
XIX ANNI VESCOVO DI MASSA E
POPULONIA
DEGNA
FIGURA DI PASTORE
UOMO
INTEGERRIMO
PRUDENTE
DI
LARGA ESPERIENZA
WALFREDO
CONTE DELLA GHERARDESCA
CONTE
DI DONORATICO E CASTAGNETO
AMMIRATORE
DELLE SUE ALTE DOTI
POSE
QUESTA LAPIDE L’ANNO MCMXXII
Nel
1926 Don Agostini si trasferì da Castagneto a Firenze, dove morì il 5 Febbraio
1937.
Sui lavori riportati alla chiesa abbiamo un’altra epigrafe che si trova
tuttora in questa:
QUESTA
CHIESA PARROCCHIALE
ABBELLITA
ED ODORNATA
DAL
PATRONO WALFREDO CONTE DELLA
GHERARDESCA
CONTE
PALATINO
SI
RIAPRI’ AL CULTO
PRESENTE
MONSIGNOR GIOVANNI PICCIONI
VESCOVO
DI MASSA E POPULONIA
IL
25 AGOSTO 1926
A
MAGGIOR GLORIA DI DIO
A
ONORE DEL PAESE DI CASTAGNETO
In
sostituzione di don Agostini arrivò, il 1° Maggio 1927 don Cesare Innocenti,
che era originario di Pontassieve.
Don Cesare Innocenti morì a Firenze il 13 Febbraio 1950, ma c’era già
l’economo spirituale don Claudio Tonini di origine sassettana che rimase a
Castagneto fino al 1952.
Successivamente non solo la chiesa parrocchiale, di Castagneto, ma anche quelle
di Donoratico e Marina furono abitate dai Padri Giuseppini nella persona di
Padre Carlo Lano.
Nel 1965 Padre Lano partì per il Brasile e al suo posto divenne parroco, prima
padre Martino Fantone di Oncino (Cuneo) poi padre Giuseppe Lano, suo cugino, che
proveniva da San Damiano d’Asti, seguito l’11 Luglio 1983 da Padre Andrea
Zampieri che vi rimase fino al 1991.
Ci fu poi, per un periodo di pochi mesi Padre Alberto Chilovi, originario di
Taio (Trento).
Il
1° Luglio comparve a Castagneto Padre Bruno Ferrian, che proveniva da Ponso
(Padova), seguito da Padre Fiorenzo Cavallaro, sempre padovano, ma di Boara di
Pisani.
Il 16 Settembre 1997, Castagneto è entrata a far parte dell’Unità Pastorale
in cui lavorano, i tre padri: Soi, Andrea e Giorgio.
Per
quanto riguarda la struttura, la chiesa di San Lorenzo Martire è ad aula con
pianta a sviluppo longitudinale, impostata sopra una gradinata a otto scalini ;
situata quasi interamente dentro le mura, ne rimane al di fuori solo
l’ingresso, raggiungibile attraverso degli scivoli collocati in Via
dell’Indipendenza.
La
parte visibile della Chiesa San Lorenzo Martire, presenta una facciata
superiore, a forma di capanna, intonacata, con due finestre a forma ad arco,
mentre, al di sopra del tetto, troviamo un campaniletto a vela, anch’esso
intonacato.
Il
portale d’accesso viene anticipato da un’apertura ad arco, al di sopra della
quale c’è una trabeazione aggettante ; sulla chiave di volta c’è lo
Stemma dei Della Gherardesca.
La chiesa è affiancata dalla Torre Campanaria.
All’interno
il pavimento è in marmo, le mura perimetrali sono intonacate e in parte
affrescate, il soffitto in legno è a capriate decorate a disegno geometrico, il
manto di copertura è in cotto.
Sui lati si aprono tre finestre ad arco con strombatura affrescata a motivi
geometrici e falsi marmi :una lapide ornata agli angoli superiori con teste
di arieti viene simulata dal vetro che si trova sulle tre finestre di sinistra.
Nello specchio interno si legge la scritta con lettere capitali:
WALFRIDUS COMES AN(N)O-D-MCMXXVI.
Lo stemma Della Gherardesca è posto anche nella parete superiore della vetrata.
Gli intradossi sono decorati a foglie di acanto stilizzate.
Sempre a sinistra, in corrispondenza della prima finestra, si apre un’edicola
circoscritta ai lati da parastre che sostengono un arco a tutto sesto, inoltre
c’è una statua in gesso con raffigurato il Cristo che mostra il cuore.
Lo
Stemma viene riproposto anche sulla chiave di volta.
In alto la trabeazione è ornata da una sequenza di dadi.
In corrispondenza della seconda finestra, c’è scolpito un confessionale in
pietra, con tre aperture ad archi trilobati, sormontati da una trabeazione
aggettante, e sostenuti da pilastri.
Nello spazio che esiste tra la parete destra e quella sinistra ci sono altri tre
confessionali in pietra della stessa tipologia.
Proseguendo lungo questo lato troviamo una seconda edicola con due dipinti
riguardanti l’Annunciazione.
Questa contiene due statue di terracotta colorate, raffiguranti l’angelo
annunciante e la Vergine Maria.
L’angelo è preceduto da tre putti sulle nuvole di cui uno regge un cartiglio
con la scritta : “AVE GRATIA PLENA”.
Sullo sfondo è scolpito il paese di Castagneto.
Poco dopo la cappella si erge un altare in pietra dedicato a Sant’Antonio di
Padova.
Nella
parete sono affrescate le immagini di San Cristoforo, San Lorenzo, San Cerbone e
San Bartolomeo.
San Lorenzo raffigurato come un giovane diacono, reca nella mano sinistra la
graticola, strumento del suo martirio, e, nella destra la palma, simbolo del
sacrificio.
San Cerbone viene descritto come un anziano vescovo, con un’oca ai piedi.
San Bartolomeo è raffigurato, invece, come un apostolo di mezza età, con la
barba, e racchiude nella mano destra un coltello, l’arma con cui fu ucciso,
mentre con la sinistra regge un libro.
Lorenzo è quello più importante, infatti ad esso è intitolata la propositura.
La sua presenza nel nostro comune dipende anche dal fatto che uno dei
Gherardesca, Lorenzo Della Gherardesca, fu autore di una torre del
castello distrutto nel XIV secolo.
Invece San Cerbone fu vescovo di Populonia ed è il patrono della diocesi di
Massa Marittima a cui appartennero Castagneto e Bolgheri.
La zona absidale è delimitata da balaustrate con lo Stemma Della Gherardesca
sui pilastri estremi.
A
sinistra c’è la porta per poter accedere alla cappella privata della famiglia
comitale ; all’ingresso si ripresenta la stessa tipologia dei quattro
confessionali, con un’unica divergenza : l’arca centrale è murata.
Sulla trabeazione compare di nuovo la scritta : “WALFRIDUS COMES A.D.
MCMXXX”, mentre al centro c’è lo Stemma della famiglia Della Gherardesca.
L’abside è inserita in un arco trionfale sbarrato ai lati da una coppia di
semipilastri e tenuto da due colonne.
I pilastri e le colonne, che poggiano su un dado, hanno un piano levigato, un
capitello composito e sono abbellite con finto marmo.
Le colonne sono soverchiate da una trabeazione, mentre sul tramezzo retrostante
la semicalotta è divisa in tre arcate.
Al centro c’è lo Spirito Santo rappresentato dalla Colomba.
L’altare maggiore, posto sui tre gradini erge di fronte all’arco.
A destra, invece, sempre nella zona absidale, spalanca
una porta sormontata da una lunetta affrescata e, in posizione armonica rispetto
alla parete sinistra, un altare dedicato a San Guido.
Proseguendo sul lato destro troviamo due edicole.
All’interno della prima c’è una statua della Vergine Addolorata, mentre
nella seconda Giuseppe con il Bambino in braccio.
Questo
lato presenta delle pitture affrescate : il ciclo della vita di San Guido,
(le cui reliquie si trovano vicino all’altare) e ritratti di San Francesco
d’Assisi, il Beato Gaddo, di San Walfredo, San Giuseppe e San Lorenzo.
All’ingresso, in una lunetta affrescata, è stata collocata l’acquasantiera.
L’acquasantiera è formata dalla sola vasca ovale, del tipo a valva di
conchiglia, con il bordo dal irregolare.
L’organo è posto in alto sul ballatoio ed è raggiungibile attraverso una
stretta scala a spirale che parte dal vestibolo esterno.
La fonte battesimale posta nella cappella,accanto all’entrata, è costruita in
pietra e ha per dimensioni 100 x 68 cm.
La base è abbellita con corolle stilizzate, la conca sul piano è divisa in
spicchi.
Nello spicchio centrale c’è un’aquila contornata da tralci vegetali con
grappoli d’uva, mentre a destra e a sinistra si trova un leone rampante.
Nello specchio di sinistra è inserito lo Stemma Della Gherardesca recante
una croce nello scudo.
Sul bordo c’è la scritta : “WALFRIDUS GHERARDESCHAE COMES ANNO DOMINI
MCMXXVI”.
Sul lato sinistro della chiesa vicino all’altare principale si trova quello
dedicato a Sant’Antonio da Padova.
Sull’altare
è collocata una teca del XIX secolo chiusa da un vetro con le statue in
terracotta raffiguranti il Santo, perimetrate da una decorazione a fresco
raffigurante due vasi con gigli bianchi.
Sulla parte della parete destra è raffigurata la Madonna con Bambino, che
regge un libro chiuso con la mano destra e un piccolo globo nella mano
sinistra.
Ai lati sono raffigurate due colombe che trattengono due cartigli con le
seguenti iscrizioni : a sinistra “AVE GRATIA PLENA” , mentre a destra
“ECCE ANCILLA DOMINI”.
La torre campanaria si trova a destra della propositura, ed è quadangolare con
merli che poggiano su una fila di archetti.
Gli angoli sono rafforzati con file di pietre.
Sulla facciata presenta un portale con arco non visibile dall’esterno perché
rimane all’interno del castello, chiuso con un cancello.
Davanti alla torre si apre una finestra ad arco, sormontata da una bifora
recante lo Stemma Della Gherardesca e sulle due aperture delle finestre si
trovano le campane.
La torre campanaria fu fatta costruire nel XX secolo, (tra il 1929 e il 1931) da
Walfredo Della Gherardesca su disegno dell’architetto Luigi Caldini, autore
della facciata di San Lorenzo a Firenze con l’impiego delle pietre provenienti
dalle rovine del Castello di Donoratico, di cui ora è rimasta la Torre.
All’origine
questa torre non esisteva, la chiesa infatti era dotata di un campanile
distrutto da un fulmine nel XVIII secolo.
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