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Come è accaduto per il frumento e la
vite, anche l'olivo ha avuto, nel lungo cammino della storia, una
duplice importanza: alimentare e simbolica. Il suo progenitore
selvatico: l'olivastro, conosciuto già in epoca preistorica ed elemento
indicatore dell'area mediterranea. Il carrubo e le altre piante
accompagnatrici. L'espansione dell'olivo coltivato, la coltivazione e le
piante infestanti.
Quando si è parlato delle vite e del grano si è messa in evidenza la
loro 'preziosità' di piante che, dagli albori della civiltà, sono
state fonte di vitae simbolo di continuità della vita stessa, specie
nell'area mediterranea. Si era anche notato che il prodotto di queste
piante è entrato nelle liturgie e nelle tradizioni più o meno magiche
di molti popoli.
A queste due va aggiunta una terza pianta, l'olivo. Anche il suo
prodotto, l'olio, ha avuto lo stesso destino del vino e del pane: da un
lato l'utilizzazione nell'alimentazione, dall'altro simbolo rituale già
dai primordi della sua utilizzazione. E pure la pianta, con le foglie
verdi scure nella pagina superiore e bianco argentee o grigie in quella
inferiore, è diventata un simbolo: il simbolo della pace.
Le
origini dell'olivastro
Ma
vediamo chi è questo olivo, da dove viene e dove vive.
Innanzi tutto bisogna fare una differenza. C'è l'olivo coltivato (Olea
europaea ) e quello selvatico (varietà sylvestris o oleaster ),
l'olivastro dal quale per selezione l'uomo ha ottenuto, appunto, la
forma coltivata. Di questo olivo coltivato si conoscono attualmente
moltissime varietà, ciascuna delle quali adatta a un certo uso ben
determinato: diverso tipo di conservazione, diverso tipo di olio. È
probabile che in questo divenire di forme che l'uomo ha sempre rinnovato
alla ricerca di qual che cosa di più personale e finalizzato alle sue
esigenze o gusti, si siano perse innumerevoli varietà (cultivar)
soppiantate da altre nuove.
Oggi un oliveto, anche abbastanza vecchio d'impianto, è normalmente
omogeneo, ma se esaminiamo oliveti secolari (talora plurisecolari), in
uno filare le olive possono essere, sui vari alberi, diverse le une
dalle altre.
Ritorniamo però all'olivastro, cioè alle origini. Si ritiene che
l'olivo selvatico o semiselvatico fosse già conosciuto dall'uomo
dell'età della pietra che viveva nelle caverne della Galilea.
Certamente l'olio ottenuto non poteva essere di gran pregio, ma già
soddisfaceva le semplici esigenze di quelle genti primitive. Ma nelle
altre parti del Mediterraneo?
Alcuni studiosi ritengono che l'olivo selvatico sia autoctono in tutta
l'area mediterranea, cioè spontaneo; altri lo ritengono importato dai
popoli, soprattutto navigatori, durante le loro peregrinazioni. Ad
esempio si ritiene che in Sardegna l'olivo sia comparso nel quarto
millennio prima di Cristo, quando nei thopet (i santuari all'aperto dove
si facevano i sacrifici di fanciulli) della città di Tharros (Oristano)
tracce di olivo soppiantano quelle di lentisco, dai cui frutti veniva
estratto un olio.
Comunque sia, l'olivo selvatico si ritrova attualmente nelle boscaglie e
nelle macchie degradate di tutta l'area mediterranea, della quale viene
considerato elemento indicatore. Certamente non possiamo essere sicuri
si tratti realmente di olivastro spontaneo al cento per cento o di porta
innesti inselvatichiti, di resti di antiche o antichissime colture: sta
di fatto che negli ultimi millenni la situazione è questa e, come
abbiamo dato diritto di cittadinanza a molte piante nella vegetazione
naturale, giunte da noi molto più recentemente, non c'è ragione di
negarla proprio all'olivo.
L'olivo
coltivato e la sua espansione
Secolo
dopo secolo, millennio dopo millennio, l'uomo selezionò varietà a
diverse produzione e anche a diversa adattabilità, capaci di vivere e
produrre in zone diverse caratteristiche ecologiche.
Dal Israele e dalla Siria l'olivo coltivato si diffuse in Egitto tra il
3000 e il 1800 a. C.; dall'Egitto venne portato in Grecia, di qui nella
Magna Grecia, cioè l'Italia, e quindi nelle altre zone del Mediterraneo
centro-ccidentale.
Conseguente a questa diffusione della varietà coltivata, si nota un
ampliamento dell'area occupata dalla specie. Infatti, mentre la varietà
spontanea come si è già detto è stenomediterranea, le coltivazioni si
spingono oltre, anche in ambienti submediterranei con caratteristiche
climatiche meno favorevoli, in senso stretto, ma comunque con inverni
non eccessivamente freddi.
Cosi, oltre che in Italia, Grecia, Libia, Tunisia, Marocco e Algeria,
ampi oliveti si trovano in Francia, anche nelle vallate del Rodano e
nelle settentrionali aree del Montelimar e in Iugoslavia. In Italia
l'olivo sale molto in alto nelle zone mediterranee, e a nord è
coltivato (un tempo era molto più diffuso di oggi) nell'Industria e
sulle colline venete (ad esempio a Bassano del Grappa), sui Colli
Euganei e in altre zone. Forse gli esempi più settentrionali o comunque
continentali si possono trovare in Friuli, dove indicano una presenza in
passato più diffusa (in fila lungo gradonature) e attualmente
riacquistano importanza solo a Domenica delle Palme.
Molti di questi olivi, però, per derivando da colture sono selvatici:
è chiaro che si tratta di porta innesti.
Molte delle piante coltivate, arboree o arbustive, sono formate da un
porta innesti e da una parte innestata che è quella richiesta. Ciò è
dovuto a due fatti principali: di porta innesti di norma è un
'selvatico' o una specie più rustica (compatibile con la specie
innestata), capace di meglio resistere all'ambiente edafico e alle
malattie, soprattutto radicali: d'altro conto molte delle specie o
cultivar selezionate, se riprodotte per seme non presentano più i
caratteri ottenuti, ma ritornano a strutture ancestrali. Si richiede
quindi una moltiplicazione vegetativa, 'clonale', che per le piante
arboree e arbustive (vite, pomoidee) si può ottenere attraverso
l'innesto.
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