L’antico
costume romano dava al padre
l’affidamento del proprio figlio con il compito di istruirlo; i più
grandi uomini di Roma, come Catone il Vecchio e Paolo Emilio, non
ritenevano di perdere il tempo che dedicavano ai propri figli per insegnar
loro l’abbiccì. Allo stesso modo non trovavano indecoroso farsi
accompagnare dal figlio alle cerimonie o portarlo per mano nelle
processioni. Essendo
il padre la guida costante del figlio, nel primo schiudersi della
sua intelligenza e nei primi contatti con il mondo, si assicurò ai padri
la continuità spirituale della propria razza. Non tutti però seguivano
la buona norma antica; i più, sin dalla fine della repubblica, affidavano
il proprio figlio a un maestro privato, oppure lo mandavano a scuola.
L’insegnamento dei maestri era molto semplice, almeno nei primi tempi;
l’antico romano ne aveva abbastanza degli studi quando sapeva leggere,
scrivere e contare. Negli ultimi anni della repubblica, e durante
l’impero, l’istruzione del giovane figlio che era mano a mano più
complessa, passava per tre gradi; i primi due, consistevano
nell’insegnamento del litterator e degli altri maestri elementari,
successivamente, c’era l’insegnamento del grammatico che costituiva il
corso per la perfezione. Non così frequentato come i primi due, la scuola
del rhetor, che sottoponeva i ragazzi ad addestrarsi nell’eloquenza
prima di dover entrare nella vita pubblica. Le lezioni elementari si
tenevano nella scuola del ludi magister, un privato che insegnava a
leggere e a scrivere. Questo era il compito del litterator: quando i
ragazzi avevano imparato a leggere e a scrivere meglio, seguivano un corso
di perfezionamento nella scrittura e imparavano a contare e a stenografare
sotto la guida di un uomo che si chiamava tibrarius, del calculator e del
notarius, che erano anche loro maestri elementari.
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