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Quando tornavo dalle polveriere, la sera, si passava dal podere di "Capannile", s'aveva tanta fame. Sulla strada c'era un fico dottato; tutte le sere si coglievano i suoi frutti e si mangiavano anche i fichi palloni cioè quelli non maturi. Una sera , arrivata a casa, mi prese un gran dolor di pancia ; era una "coli'a" di appendicite causata dai fichi acerbi.
Ai tempi di nonna si rinnovavano i vestiti e le monachine (cappello di paglia di Firenze) solo una volta all'anno o per le festività importanti. I ra-gazzi stavano a sedere sulle panchine davanti alla chiesa per vedere le ra-gazze mentre passavano per andare alla messa. Un ragazzo vide mia nonna carina e decise di scriverle una lettera, dove c'era scritta una dichiarazione d'amore. Ma a nonna non piaceva perché era troppo rozzo e si mise con nonno Betto.
D'inverno, in tempo di guerra la mi ' mamma teneva nascosto un sacchet-to di farina di castagne. Quando rimanevo sola in casa io prendevo un tegamino con l'acqua e lo mettevo al foco e poi ci mettevo questa fa-rina dolce: facevo una bella farinatina e zitta zitta me la mangiavo .
C'era un uomo di nome Cecco, faceva il barrocciaio, e, gli piaceva anche il bombo (il vino) e ne beveva tanto quando passava dal "Gabbani". Sul bar-roccio teneva un ombrellone verde; una sera era buio, c'era solo il lume di luna, era freddo, e lui camminava a piedi perché gli chiappava il freddo. Tutto ad un tratto vide un ombrellone in terra e lui lo prese e lo buttò sul barroccio. Ogni 10 metri trovava un ombrello (era il suo che gli cascava) e lo metteva nel barroccio. Ne vide un altro e disse: "Stasera piove ombrel-li! Questo non lo voglio!" Gli diede una pedata e lo buttò nella fossa; quando arrivò a casa chiamò la moglie e le disse: "Guarda, ho trovato un barroccio d'ombrelli!" La moglie replicò: "Ma lo vedi in che condizioni sei?". Allora andarono a vedere sul barroccio per costatare il fatto. La mo-glie disse: "Non c'è nemmeno il tuo, d'ombrello!" Un'altra sera tornando a casa, sempre ubriaco, due suoi amici gli staccarono il cavallo dal barroc-cio, tanto non se ne accorgeva. Quando si riprese, disse al cavallo di anda-re; poi scese, guardò e: "Se so' Cecco m'hanno fregato il cavallo, e se non so' Cecco ho trovato un barroccio".
Il problema più assillante di quei tempi, era quello di riuscire a mettere in-sieme la cena col desinare. Granturco (un soprannome), come molti altri, cercava di arrotondare i magri proventi della bottegaccia (si fa per dire) di barbiere con qualche "opra" in campagna. Infatti aveva convenuto con al-cune famiglie di contadini che, ogni due o tre mesi, si sarebbe recato nel l'abitazione di uno di loro, a Collemezzano, per tagliare i capelli tanto agli uomini che alle donne ed ai ragazzi. Avvertiti del suo arrivo anche gli abi-tanti dei poderi vicini si radunavano in quella casa e così "l'opra" di Gran-turco finiva per durare un giorno e più. Quella volta Granturco rimase a pranzo da una famiglia che, il giorno prima, aveva ammazzato il maiale. Quindi mangiata a base di braciole, rostinciana e altre cose del genere con grande abbuffata del nostro personaggio che, finalmente, riuscì a levarsi qualche grinza di corpo. Poiché i tagli di capelli furono più numerosi del solito, Granturco rimase a cena e si riempì oltre misura tracannando anche molti bicchieri, al che il Capoccia gli chiese: "O Granturco, ma dove la in-fili tutta quella roba? " E lui pronto: "Non vi preoccupate ner mi stomaco ci sta come il tre nell'otto: due volte e ci ciottola". A dormire fu mandato nel fienile, ma durante la notte venne colto da tremendi stimoli e non po-tendo andare nella stalla che era chiusa, uscì sull'aia, ma non ritenne di li-berarsi in quel luogo perché al mattino il contadino lo avrebbe subito nota-to e certamente non approvato. Mentre, sempre più pressato dalla necessità si trovò a passare vicino alla porta di casa, vide, ai lati due grossi vasi di terracotta con dentro due piante, fu subito colpito da un'idea: facendo i suoi bisogni nel vaso avrebbe dato anche un contributo alla crescita delle piante. Così afferratane una, la sollevò con il pane e nel vaso mise l'incomodo. Quindi rimessa con precauzione la pianta al suo posto, tornò a dormire. Al mattino eseguì gli ultimi tagli di capelli e si accomiatò a pan-cia piena e con qualche liretta in tasca. Passò una settimana e un mattino un postino gli recapitò una cartolina inviata dalla famiglia che l'aveva o-spitato. Nella stessa il Capoccia scriveva: "Caro Granturco, ti ringraziamo per tutto il lavoro fatto ma, per carità, vieni a dirci dove l'hai fatta perché in casa c'è un puzzo che non si resiste più!"
Quando il fronte era vicino, i tedeschi erano tanti a Bibbona. Io e la mia sorella andavamo a fare l'erba la mattina presto; a quell'ora passavano gli aeroplani in ricognizione. Quando si vedevano dicevamo: "Arrivano i lattaioli!" Se vedevano per la strada un camion, un carro armato ... si butta-vano giù in picchiata e mitragliavano; per la paura, noi ci buttavamo in un fosso e aspettavamo che si allontanassero. Quanta paura !!
In tempo di guerra, quando mia nonna era giovane scappò con famiglia e parenti a Norcia, che era il suo paese. Tutti soffrivano la fame perché c'era la miseria e la certezza di averne anche in futuro era grande. La mia nonna racconta che i suoi cuginetti e fratelli di età, erano molto magri, mentre lei in quel periodo stranamente ingrassava. Lei sapeva perfettamente perché, e non osava riferirlo agli altri. Di notte andava in cantina dove era nascosto il lardo, che era la pancetta di maiale, ben nascosta agli occhi estranei. Nella cantina mangiava tante fette di pane con questo grasso spalmato. Ricorda che si leccava sempre i baffi, mentre tornava a dormire.
Nonna Neda mi ha raccontato che il mio nonno al momento della nascita ebbe dei grossi problemi di salute tanto che sarebbe dovuto morire. Fortu-natamente riuscì a superarli, così i suoi genitori lo chiamarono Salvo. Ma non basta!! Un giorno, mentre stava andando al lavoro con la sua lambret-ta, passando di fronte alla chiesa di Cecina, si trovò davanti un carro fune-bre fermo sulla strada. Lui non fece in tempo a frenare, lo tamponò, ruppe il vetro e ci entrò dentro. Per fortuna non si fece male, forse il suo nome lo aiutò. Così si salvò per la seconda volta. Anche il giornale, a quei tempi, riportò la notizia.
Il babbo mi ha raccontato che quando frequentava le scuole medie era un po' Pierino. Nell'ora di educazione fisica, non essendoci la palestra, li por-tavano fuori per fare allenamenti vari, oppure corse campestri. Insieme ad alcuni amici partivano per una bella corsa che finiva di proposito in campi ed orti. Tornavano in classe quando era quasi al termine anche l'ora di sto-ria. I banchi di quel tempo si alzavano e dentro loro mettevano la refurtiva che non erano riusciti a mangiare per strada. Il colore della bocca variava secondo la stagione, per esempio quando era tempo di carciofi, era nera! Il professore di storia, piuttosto arrabbiato, per punirli li mandava fuori, ma non sapeva che loro erano belli soddisfatti, così potevano finire la colazio-ne. In un'altra uscita per la corsa, invece il mio babbo portò in classe un barbagianni, e lo mise dentro al banco, ma fu chiamato per un interroga-zione e gli amici fecero scappare il barbagianni per l'aula. La professores-sa, terrorizzata, si mise a urlare che aprissero le finestre per mandare via il volatile. Babbo fu sospeso, ma si riprese il gufo e se lo portò a casa.
Allo zio della mia nonna era morto il babbo e a quei tempi usava stare al cimitero nella cappella mortuaria tutta la notte, a "veglia" con il morto. Lo zio non aveva l'orologio e dopo tanto tempo che era nella cappella voleva sapere l'ora e pensò di affacciarsi al muro di cinta per chiederla a qualche passante. Vide dei ragazzi in bicicletta, così lo zio gli chiese l'ora, ma que-sti ragazzi si impaurirono pensando che fosse un morto resuscitato e scap-parono via. Ci fu qualcuno che cascò e dalla paura non raccolse la biciclet-ta, ma andò via a piedi e lo zio si mise a ridere.
La chiesa era tutta addobbata con tanti fiocchi, fiori, la chiesa era grande ed ogni panca aveva un mazzolino di fiori. Anche se erano una famiglia "povera" ci tenevano a queste cose. Ci fu un inconveniente perché la mamma della mia nonna aveva il cognome uguale a mio nonno e pensa-rono che erano parenti, il prete andò a controllare sul libro di tutte le nasci-te videro che non erano parenti ma avevano il cognome uguale, e tutto finì bene. Il vestito di mia nonna era tutto bianco e lungo con le ondine di smerlo e un lungo velo trasparente legato fra i capelli. Mio nonno aveva un vestito a doppio petto grigio, un fiore all'occhiello ed al taschino usciva un fazzoletto bianco.
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